domenica 17 giugno 2012

Il terremoto ha ferito la cupola della basilica di Santa Barbara. Mantova rischia di perdere un pezzo dell'architettura di Roma

E a un certo punto della storia Mantova apre gli occhi sul suo corpo, vecchissimo, tramortito dal terremoto epocale. Ogni dimenticanza, responsabilità e fatalità, ruga, filigrana, sbrego, marcescenza ora sono evidenti. Mantova è la città capoluogo delle province del sisma più colpita, chiusa, transennata, pencolante e rischia di venire infilata sotto tettoie, frastagliata da transenne, nastri biancorossi (i suoi colori), impalcature e proibizioni per chissà quanto tempo.

La città - dopo le botte del 20 e 29 maggio e il subdolo tremolìo che ancora non cessa - non è più la stessa. Recuperarla? Serve un grido internazionale potentissimo che coinvolgesse Regione, Governo, Unesco e Unione Europea, perché lo sconquasso che Mantova ha subìto e il patrimonio che Mantova custodisce sono adesso insostenibili da qualsiasi giunta locale o da ogni razza di singola buona volontà.

Siamo più grandi di noi. Il lanternino del campanile di Santa Barbara - usiamo il diminutivo, fraterno - è stato la vittima prima alle ore 13 del 29 maggio. Il suo tonfo e sbriciolamento fra i tetti e le piazze della reggia hanno mutilato il rasserenante skyline della città; certificato che Mantova non è durevole, con in groppa una storia immane; infine hanno evocato il senso della perdita in forma di distruzione. Serve un soccorso mondiale. Non c'è porzione della reggia o di Mantova intera che non rifranga gli esiti della civiltà e della cultura. L'allarme è trasversale. È tutto.


Rischiano la Camera degli Sposi che per suo conto traballa nel castello di San Giorgio; trema Cortenuova; oscillano tutte le torri medievali; preoccupa non da oggi Palazzo del Podestà e Palazzo della Ragione; mostra sofferenze la Rotonda, scricchiola l'Archivio di Stato; cigola la Biblioteca Teresiana; è sotto osservazione il teatro del Bibiena; è serrata per precauzione la biblioteca Baratta; non sta bene la chiesa di San Maurizio pinacoteca del Seicento; ha traumi la chiesa di Santa Teresa; screpolature importanti a Palazzo Te già in affanno per la fenditura dei Giganti; chiuso il Museo di San Sebastiano. La città sta male.


Il compianto sul lanternino può radunare tutte le altre sofferenze e rischiose perdite. La sommità quasi missilistica del campanile della basilica di Santa Barbara sovrastava la cupola, che è ancora lassù con la sua gravità plumbea, sbilenca su una leggera serliana (archivolti-architravi alternati) che incombe come uno spezzone da bombardiere sulla chiesa ducale e l'organo dell'Antegnati, sulla sagrestia, sulla "zoiolera" appena recuperata, addirittura sulla Galleria della Mostra architettata dal Viani e da Rubens con più di cento busti romani e dove si conservavano i Caravaggio e i Tiziano...

La cupola del campanile - che potrebbe appunto divenire una bomba - è una chiave di Mantova. La sua morte per caduta rappresenterebbe la cancellazione del legamento dell'esperienza architettonica fra Roma, Venezia e Mantova. Per chi soffre della mutilazione dello skyline va scritto che il sistema della cupola non è altro che il rinascimento romano avvitato su una torre, la più alta, visibile, rappresentativa della corte: il primo incontro con Mantova dai laghi. Obelisco della palude. Quel genio onnivoro di Giovanni Battista Bertani tradusse nella basilica - conclusa nel 1568 - e poi nel campanile l'esperienza definitiva di Giulio Romano chiamando nelle architetture della chiesa del duca Guglielmo il Gobbo ogni cognizione estetica e strutturale del suo tempo: Bramante, Sangallo, Raffaello, Michelangelo. Tutti condensati a Mantova.

Il campanile, concluso nel 1566 e quindi sopravvissuto agli infiniti terremoti mantovan-ferraresi degli anni Settanta di quel secolo, è il totem della seconda fase del rinascimento. E il sistema della cupola trasferisce a Mantova la lezione di Bramante nel tempietto circolare di San Pietro in Montorio, edificato a Roma, sul Gianicolo, nel 1510 per il re di Spagna. Vale a dire che il Bertani d'amore e d'accordo col duca concluse la torre campanaria nuda e possente, con un vessillo romano, caro anche a Raffaello (per credere vedere il tempietto dello Sposalizio
della vergine
. Pensate: la chiesa cilindrica di Bramante issata su un campanile "alla romana". Travolgente. E così eclatante che da allora in poi non ci fu chiesa o edificio classicista o neoclassico che non ne imitò lo spirito. Citiamo solo due campioni: il culmine della basilica di Santa Barbara ha a che fare con la copertura del Campidoglio a Washington o con la cupola della cattedrale di San Paolo a Londra, capolavoro di Christopher Wren, e con ogni lanterna sommitale che si rispetti. Il modello bramantesco si riverberò a Mantova e da Mantova altrove, come nella generazione precedente era avvenuto con Raffaello e Giulio Romano, Roma e Mantova. È il destino della trasmigrazione del gusto.
Ma proprio a Mantova, nell'età guglielmina, in piena area d'influenza della superpotenza veneziana, Bertani apportò una solenne metamorfosi al tempietto bramantesco concepito a quaranta metri d'altezza sui laghi del Mincio. Trasformò il colonnato a trabeazione vitruviana (lineare, con una cornice classica, dorica), in una sofisticata loggia serliana. Così Mantova mediò la sua posizione geografica evocando le lezioni di Serlio, appunto, e Andrea Palladio. Avvitato sopra il campanile a finestre doppie (memoria della bifora romanica) c'è un "cappello" che solfeggia Roma e Venezia. Bramante nel concetto, Michelangelo nelle costole forzute della cupola, Palladio nel ritmo del porticato. Che sta ora rischiando la distruzione per caduta. Uno sfracello: Michelangelo su Palladio, Bertani su Rubens, Viani su Giulio Romano. In via paradossale sarebbe il contrario del volo verticale di Mantova nella cronotassi della storia dell'arte. È così che la vetta del campanile nel suo piccolo topografico porta a sintesi tutte le dinamiche dell'architettura del Cinquecento. Ed è per questo processo di rielaborazione che Mantova è Mantova. Questa minima lezione di storia dell'arte è necessaria per convenire come ogni sforzo fatto sulla nostra penisola sarà straordinario ma poco, e quanto quello che rischiamo di perdere sia un universo. Dalle case, le chiese, i sublimi paesi-comunità della Bassa massacrata, dalle corti rurali a quella ducale, va intonato un grido altissimo.